Io o il fantasma di me stessa
Qui e ora – come diceva un mio caro amico d’infanzia – siamo nel presente che scorre, dove neppure una vista sgombra garantisce una visione perfetta.
Davanti vi è un’arida via, dietro uno spiazzo sfocato da una nebbia incombente che, a tratti, lascia intravedere la statua di un uomo con tunica e barba. Ai lati inariditi alberi, le cui ombre sembrano chinarsi verso di me per cercare di afferrarmi e spogliarmi dell’anima, apparentemente sono nell'attesa di sentire, nell’aria, la nenia funebre che accompagna la Morte nel momento in cui decide di dare sollievo alle povere creature che popolano questo desolato e infernale mondo. Le strade, piene di buche, lasciano difficilmente immaginare lo splendore in cui, seppure in tempi non molto remoti, versava questa città che ormai ha perso la propria identità. Più avanti – sia a destra che a sinistra – file di negozi abbandonati, con le vetrine svuotate, avrebbero facilmente angosciato quel malcapitato passante che, inopportunamente, si fosse smarrito in queste zone.
Qui e ora saranno le otto appena passate, e il sole è nascosto sotto una densa coltre di nubi. In questo momento, in questo paesino inerpicato sul fianco di una collina, si direbbe che la vita stia trattenendo il fiato. Forse vi starete già stufando e vorreste sapere chi è il protagonista del racconto, dove ci troviamo e in che punto della storia. Ebbene il protagonista sono io o, meglio, forse sarebbe più appropriato dire che non sono, visto che non so niente di me, di quello che faccio in questo lugubre sperduto angolo del mondo, altro non so...so solo che sono una ragazza con dei lunghi capelli che – in mano – si ritrova una borsetta vuota e – in testa – una frase ossessionante, ripetuta sempre allo stesso modo, dalla stessa voce, ma con una intonazione sempre crescente, che non riesco però a decifrare.
La strada comincia, adesso, ad allargarsi per lasciare il posto ad una piazza, isolata dal resto del mondo, dove a destra – su un’imponente scalinata a tre rampe – sorge un edificio cristiano della cui parte superiore restano soltanto le macerie. Proprio di fronte alla chiesa si trova un antico palazzo, mero simbolo d’incapacità e corruzione: guardando attraverso le finestre dai vetri frantumati è ancora possibile vedere, chini sulle proprie scrivanie, degli uomini dall’aspetto corvino e dal ghigno di iena.
Istintivamente metto le mani in tasca e comincio a frugare nella vana ricerca di trovare qualche indizio che riesca a togliermi da dosso il velo che copre il mio Ego; comincio a guardarmi nei particolari, ma, un vestito nero e un paio di comunissime scarpe anch’esse nere, di quelle indossate nelle serate di gala o da un morto che si appresti ad assistere al proprio funerale, non riescono a sciogliere i miei dubbi.
Nel frattempo un sole pallido riesce finalmente a vincere la resistenza delle nubi e a fare la propria apparizione ad oriente, appena poco sopra un’ampia distesa marina, proiettando i propri raggi sulle cime di alcune colline aride, la cui vegetazione, devastata probabilmente da un incendio, è ridotta a resti di tronchi bruciati e soprattutto cenere.
Alla mia sinistra, davanti ad un negozio di souvenir, una fanciulla spazza polvere, cenere, pensieri, sogni, la mia coscienza o, addirittura, la mia vita.
– Forse sapendo il luogo, il giorno, l’anno, potrei risalire...ma a che?
Mi avvicino alla ragazza, intenta ora a lavare i vetri del negozio. Mi ci accosto con prudenza, le chiedo il giorno, l’anno e il punto in cui mi trovo, ma l’unica risposta che ricevo è una secchiata d’acqua addosso che, tuttavia, mi lascia incredibilmente asciutta.
Turbata dallo strano incidente continuo ad andare lungo la via, adesso affollata di cani randagi smagriti che, quasi a malincuore, danno la caccia a gatti il cui colore non lascia presagire niente di buono.
Intanto sono giunta in un’altra piazza, stavolta piena di anziani dall’età media quasi centenaria, intenti in futili discorsi, probabilmente gli stessi discorsi discussi giorno dopo giorno. Ascoltando di sfuggita le parole di un uomo vestito molto accuratamente giungo a conoscenza dell’imminenza di un’importante elezione politica che – secondo quest’uomo – non avrebbe potuto far altro che sostituire la corrotta classe politica attualmente al potere con dei dirigenti di un’altra ideologia politica ma con la stessa volontà di servire i propri interessi personali.
Seduti al tavolino di un bar, una gamba qua una gamba là, vi sono quattro pensionati mezzo avvelenati, gonfi di vino, pronti a tracannare e a stramaledire le donne, il tempo ed il governo. Dalla familiarità con cui parlano al cameriere si capisce che è possibile incontrarli là in ogni tempo, estate, inverno e forse anche in eterno. Grazie al vino per loro ci sarà allegria anche in agonia nel vano tentativo di portare sul viso l’ombra di un sorriso fra le braccia della morte.
Nel frattempo la frase ossessionante che mi gira in mente sembra sempre più trasformarsi in una cefalea che mi provoca un dolore lancinante alla testa. Tuttavia capisco che solo la decifrazione di questa frase rimane l’unica possibilità di riscoprire la mia identità, l’ultima occasione per riprendere in mano quella vita adolescenziale che, schiacciata sotto il peso di quello spleen di cui parlava Baudelaire, sta andando alla deriva verso un luogo dal non ritorno.
Mi accorgo di essermi spinta oltre la zona pedonale e, sempre immersa nei miei pensieri, di essermi addentrata lungo una strada a senso unico dove i disoccupati del luogo e alcuni studenti poco volenterosi sfrecciano con le loro smarmittate auto o motorini.
All’improvviso la frase in testa mi è chiara e suona all’incirca così: ”Attenzione, la macchina!”. In fondo alla strada vedo una ragazza dai capelli lunghi, con una borsetta in mano, che attraversa la strada di corsa. Una macchina svolta a gran velocità, una commessa grida qualcosa alla donna; l’impatto è durissimo, la ragazza è distesa a terra sanguinante...
Nello stesso momento la mia ombra sul pavimento comincia a sfumare per poi scomparire del tutto.
Forse quella donna ero io?
Davanti vi è un’arida via, dietro uno spiazzo sfocato da una nebbia incombente che, a tratti, lascia intravedere la statua di un uomo con tunica e barba. Ai lati inariditi alberi, le cui ombre sembrano chinarsi verso di me per cercare di afferrarmi e spogliarmi dell’anima, apparentemente sono nell'attesa di sentire, nell’aria, la nenia funebre che accompagna la Morte nel momento in cui decide di dare sollievo alle povere creature che popolano questo desolato e infernale mondo. Le strade, piene di buche, lasciano difficilmente immaginare lo splendore in cui, seppure in tempi non molto remoti, versava questa città che ormai ha perso la propria identità. Più avanti – sia a destra che a sinistra – file di negozi abbandonati, con le vetrine svuotate, avrebbero facilmente angosciato quel malcapitato passante che, inopportunamente, si fosse smarrito in queste zone.
Qui e ora saranno le otto appena passate, e il sole è nascosto sotto una densa coltre di nubi. In questo momento, in questo paesino inerpicato sul fianco di una collina, si direbbe che la vita stia trattenendo il fiato. Forse vi starete già stufando e vorreste sapere chi è il protagonista del racconto, dove ci troviamo e in che punto della storia. Ebbene il protagonista sono io o, meglio, forse sarebbe più appropriato dire che non sono, visto che non so niente di me, di quello che faccio in questo lugubre sperduto angolo del mondo, altro non so...so solo che sono una ragazza con dei lunghi capelli che – in mano – si ritrova una borsetta vuota e – in testa – una frase ossessionante, ripetuta sempre allo stesso modo, dalla stessa voce, ma con una intonazione sempre crescente, che non riesco però a decifrare.
La strada comincia, adesso, ad allargarsi per lasciare il posto ad una piazza, isolata dal resto del mondo, dove a destra – su un’imponente scalinata a tre rampe – sorge un edificio cristiano della cui parte superiore restano soltanto le macerie. Proprio di fronte alla chiesa si trova un antico palazzo, mero simbolo d’incapacità e corruzione: guardando attraverso le finestre dai vetri frantumati è ancora possibile vedere, chini sulle proprie scrivanie, degli uomini dall’aspetto corvino e dal ghigno di iena.
Istintivamente metto le mani in tasca e comincio a frugare nella vana ricerca di trovare qualche indizio che riesca a togliermi da dosso il velo che copre il mio Ego; comincio a guardarmi nei particolari, ma, un vestito nero e un paio di comunissime scarpe anch’esse nere, di quelle indossate nelle serate di gala o da un morto che si appresti ad assistere al proprio funerale, non riescono a sciogliere i miei dubbi.
Nel frattempo un sole pallido riesce finalmente a vincere la resistenza delle nubi e a fare la propria apparizione ad oriente, appena poco sopra un’ampia distesa marina, proiettando i propri raggi sulle cime di alcune colline aride, la cui vegetazione, devastata probabilmente da un incendio, è ridotta a resti di tronchi bruciati e soprattutto cenere.
Alla mia sinistra, davanti ad un negozio di souvenir, una fanciulla spazza polvere, cenere, pensieri, sogni, la mia coscienza o, addirittura, la mia vita.
– Forse sapendo il luogo, il giorno, l’anno, potrei risalire...ma a che?
Mi avvicino alla ragazza, intenta ora a lavare i vetri del negozio. Mi ci accosto con prudenza, le chiedo il giorno, l’anno e il punto in cui mi trovo, ma l’unica risposta che ricevo è una secchiata d’acqua addosso che, tuttavia, mi lascia incredibilmente asciutta.
Turbata dallo strano incidente continuo ad andare lungo la via, adesso affollata di cani randagi smagriti che, quasi a malincuore, danno la caccia a gatti il cui colore non lascia presagire niente di buono.
Intanto sono giunta in un’altra piazza, stavolta piena di anziani dall’età media quasi centenaria, intenti in futili discorsi, probabilmente gli stessi discorsi discussi giorno dopo giorno. Ascoltando di sfuggita le parole di un uomo vestito molto accuratamente giungo a conoscenza dell’imminenza di un’importante elezione politica che – secondo quest’uomo – non avrebbe potuto far altro che sostituire la corrotta classe politica attualmente al potere con dei dirigenti di un’altra ideologia politica ma con la stessa volontà di servire i propri interessi personali.
Seduti al tavolino di un bar, una gamba qua una gamba là, vi sono quattro pensionati mezzo avvelenati, gonfi di vino, pronti a tracannare e a stramaledire le donne, il tempo ed il governo. Dalla familiarità con cui parlano al cameriere si capisce che è possibile incontrarli là in ogni tempo, estate, inverno e forse anche in eterno. Grazie al vino per loro ci sarà allegria anche in agonia nel vano tentativo di portare sul viso l’ombra di un sorriso fra le braccia della morte.
Nel frattempo la frase ossessionante che mi gira in mente sembra sempre più trasformarsi in una cefalea che mi provoca un dolore lancinante alla testa. Tuttavia capisco che solo la decifrazione di questa frase rimane l’unica possibilità di riscoprire la mia identità, l’ultima occasione per riprendere in mano quella vita adolescenziale che, schiacciata sotto il peso di quello spleen di cui parlava Baudelaire, sta andando alla deriva verso un luogo dal non ritorno.
Mi accorgo di essermi spinta oltre la zona pedonale e, sempre immersa nei miei pensieri, di essermi addentrata lungo una strada a senso unico dove i disoccupati del luogo e alcuni studenti poco volenterosi sfrecciano con le loro smarmittate auto o motorini.
All’improvviso la frase in testa mi è chiara e suona all’incirca così: ”Attenzione, la macchina!”. In fondo alla strada vedo una ragazza dai capelli lunghi, con una borsetta in mano, che attraversa la strada di corsa. Una macchina svolta a gran velocità, una commessa grida qualcosa alla donna; l’impatto è durissimo, la ragazza è distesa a terra sanguinante...
Nello stesso momento la mia ombra sul pavimento comincia a sfumare per poi scomparire del tutto.
Forse quella donna ero io?
(per visualizzare il resto del racconto cliccare su pagina post)
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